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Nel 1973 avevo tredici anni, ed avevo la fortuna di avere due zii come Carlo e Daniele Labruna.
Uno dei momenti da me preferiti era la pista elettrica e la conobbi così: un giorno qualche anno prima del 73 andai a casa di zio Carlo che viveva in un attico di un quartiere non troppo elegante della città, aveva un grandissimo salone ed indovinate un po’ di cosa era pieno? Ebbene si, metri e metri di pista e meraviglia delle meraviglie: un circuito! non credevo ai miei occhi e la felicità mi colse impreparato (ero ancora piccolo), su quel circuito correvano delle auto, erano vive, erano elettriche ed erano dotate di un corpo (di solito meravigliosamente dipinto) e si, anche di un’anima (questo però lo capii tempo dopo).
L’emozione ricordo fu talmente grande che mi paralizzai un istante (ancora oggi mi succede ogni volta che mi trovo ad osservare un circuito nuovo), le sue curve, sinuose o strette, mi parlarono subito di musica, di pause e di toni, di velocità e di ritmo, intuì con la prontezza che solo un bambino può avere, di essere al cospetto di un mondo che mi apparteneva, io e la pista eravamo fatti l’uno per l’altra e sapevo che presto avrei avuto il piacere immenso di accarezzarne tutto il suo sviluppo e di essere felicemente tra le sue braccia; si, stavo per entrare in una nuova dimensione e sapevo perfettamente che non ci saremmo mai lasciati io e la pista elettrica!!!!!
La voce tonante di zio Carlo mi fece trasalire ordinandomi imperiosamente: ‘’Passami le scatole con dentro i prototipi’’; io divenni rosso mi guardai in giro ed imbarazzatissimo dissi: ‘’Cosa sono i prototipi?’’, apriti cielo; venni punito verbalmente in modo molto, molto duro quasi avessi offeso un sacerdote officiante una funzione: "Cooosa?? Non sai cosa sono i prototipi?????", ed io che ero ancora ad un metro da terra dopo le emozioni provate qualche attimo prima tornai brutalmente alla realtà e dissi con un filo di voce: "No".
Capii in quel preciso istante che quel pentagramma che era la pista che tanto aveva stimolato la mia fantasia sarebbe stato teatro, aimè, di lotte durissime, sapevo che avrei scritto su di lui composizioni ritmiche ma con melodie a volte gioiose, a volte molto tristi, ed imparai anche che niente è regalato su questo pianeta ed è meglio così: la sofferenza indotta dalla lotta ci rende consapevoli del valore delle cose e ci impone a dare il meglio di noi per raggiungere il traguardo.
Per non sbagliare ancora oggi uso il pulsante come uno strumento musicale e nel 2008 a Silverstone durante una gara un signore inglese mi disse a fine gara "i saw you for all the competition, for you this thing is not a controller, is like you play a musical instrument’".
Lo guardai incredulo e gli dissi Grazie. (L.B. 15/9/2012)
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