vite parallele

 

 
 
 
 
 
 

 

 

 

Era l’inverno del 1974. In una freddissima giornata, quasi certamente un sabato pomeriggio, entrai per la prima volta nel Club.

 

La sede di Molassana si trovava in un locale molto grande, lontanissimo dalla mia abitazione.

 

Per me, che all’epoca avevo quattordici anni, raggiungere il Club era come intraprendere un viaggio transoceanico.

 

Ricordo che dovevo cambiare tre autobus e che il tempo medio di percorrenza di quel viaggio era di un’ora e mezza.

 

Erano gli anni settanta, imperversava la moda hippie e, non a caso, le pareti del locale erano pitturate di un viola intenso, una tinta davvero impensabile.

 

Io, da parte mia, avevo una capigliatura vagamente ispirata a quella di Jimi Hendrix.

 

Quella capigliatura mi aveva procurato molti problemi sia a scuola che in casa, ma in quel contesto ... appariva a tutti perfettamente normale ed adeguata.

 

Entrai in quel paradiso e vidi subito la pista montata al centro del locale.

 

Quell’immagine rimarrà sempre impressa nella mia mente.

 

Non credetti ai miei occhi, era esattamente ciò che anch'io avevo sempre sognato di costruire, magari nella cantina di casa mia.

 

Avevo anche provato a realizzare un Slot Club in una stanza dello studio medico di mio padre, ma ero stato prontamente e giustamente dissuaso.

 

Quel giorno avevo portato con me una Slot-car (policar) ed il mio pulsante.

 

Dopo essere entrato nel Club, mi avvicinai timidamente a quello, dei presenti, che mi sembrava la persona più importante, e sussurrai < ... scusi, posso giocare?>.

 

Lui mi fulminò con lo sguardo e mi disse <certo, ma ricorda che questo non è un gioco!>.

 

Era davvero singolare quel personaggio, capelli lunghi fin sulle spalle, pantaloni (credo bianchi) a zampa d’elefante ed una camicia con un collo impensabile almeno quanto il colore viola delle pareti.

 

Ebbi peraltro per lui una istintiva simpatia e capii che era il leader carismatico del gruppo.

 

Cominciai quindi a tempestarlo di domande.

 

Mentre lui pazientemente mi rispondevava, io ascoltavo con stupore il fischio dei motori che giravano sulla pista.

 

Quel fischio mi sembrò una meravigliosa melodia.

 

Era il rumore che emettevano i Mabuchi D26, motori potentissimi nati per correre sulle piste americane e che, fatti girare ad alto voltaggio, offrivano prestazioni eccezionali.

 

Non avevo mai visto quei motori e li osservai attentamente vivisezionando con lo sguardo ogni particolare.

 

Chiesi al mio interlocutore dove si potevano acquistare, ma la risposta fu lapidaria <non si acquistano, sono introvabili>.

 

<Peccato ...>, pensai, forse a Natale o per il mio compleanno avrei potuto convincere mio padre a regalarmene uno.

 

Fui molto incuriosito anche dalle gomme.

 

Erano strane, multicolori e di un materiale soffice simile alla gommapiuma.

 

Fu quello il mio primo incontro con le gomme in spugna.

 

<Queste almeno si troveranno>, pensai nuovamente, e con circospezione lo chiesi al solito interlocutore.

 

Questa volta ricevetti una risposta più rassicurante; <si> mi disse  < ... le puoi comprare in un negozio di via Assarotti> poi aggiunse, troncando immediatamente la mia soddisfazione,  < ... però è difficilissimo trovarle>.

 

<Almeno per le gomme ho qualche speranza>, osservai.

 

Il mio interlocutore, che evidentemente intuì di trovarsi al cospetto di un personaggio particolare almeno quanto lo era lui, vedendomi un po’ incupito, disse <se vuoi gareggiare con noi, ti costruisco io la macchina>.

 

Lo guardai incredulo e risposi <davvero?>; poi mi soffermai a riflettere ed aggiunsi <ma quanto costa?> lui sorrise e disse <nulla, ma la macchina rimane mia, tu la guiderai soltanto il sabato pomeriggio> e mi mostrò subito dopo una stupenda Slot-car gialla.

 

Rimasi perplesso e gli dissi < ... ma potrò portarla a casa?> <No> fu la secca risposta.

 

Quell'offerta non era il massimo in cui speravo, ma mi sembrò un buon compromesso, avrei potuto pilotare una di quelle meravigliose vetture, gareggiare in quel santuario e forse, chissà, con il tempo avrei potuto avere una Slot-car tutta mia.

 

<Va bene> risposi, <grazie>.

 

La sera tornai a casa e raccontai quello che mi era accaduto.

 

A tutti i miei familiari apparve impossibile ciò che io stavo raccontando ed inverosimile che potesse esistere un luogo come quello che io descrivevo loro con grande entusiasmo.

 

<Vi assicuro che esiste ...> continuavo inutilmente a ripetere con foga, < ... si chiama Autosprint Slot Club Genova, potrò tornarci quando vorrò e potrò pilotare una macchina con il motore americano e le ruote di gommapiuma ... > < ... me lo ha promesso quel signore con i capelli lunghi>.

 

Tutti pensarono certamente che fosse uno dei soliti sogni che la mia mente fervida di bambino di tanto in tanto produceva.

 

In effetti non era facile credere che potesse esistere un luogo come quello che io avevo descritto, con le pareti viola, il fischio dei motori che tutti ascoltavano in religioso silenzio e soprattutto quell’incredibile personaggio con i lunghi capelli ed i pantaloni a zampa d’elefante.

 

Si trattava infatti di un luogo unico al mondo e solo che vi era entrato realmente poteva essere pienamente consapevole della sua esistenza.

 

(M.B.) (Maggio '07)

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